“Ho volato sul mondo per una vita ma mi mancava il mare di Roccella”

Dom, 25/11/2018 - 12:00

Soffro di claustrofobia e non viaggio in aereo molto volentieri perché l’idea di non avere la terra sotto i piedi mi fa mancare l’aria. Ma sono sempre stata curiosa di conoscere la storia di Enzo, 76 anni di Roccella, che ha viaggiato per 20 mila ore da pilota e 16 mila da passeggero.
Come ti sei avvicinato all’aeronautica?
Sono cresciuto sin da bambino consapevole di quanto fosse duro portare avanti una famiglia, perché vivevo quotidianamente i sacrifici che i miei genitori facevano per tirare su me e i miei 5 fratelli.
Ho studiato avendo come costante obiettivo quello di trovare un lavoro per rendermi indipendente e ripagare i miei genitori per tutto quello che avevano fatto. Poco tempo dopo aver conseguito il diploma, mi capitò di trovare al Comune di Roccella una locandina che presentava un bando di concorso per 120 Allievi Ufficiali Piloti di Complemento (AUPC). Non avevo mai sentito parlare di aeroplani, non ne avevo mai visto uno, non mi era mai sfiorata nemmeno l’idea di diventare pilota. La cosa però mi incuriosiva tantissimo. Avvenne tutto in poco tempo: mi diplomai a luglio del 1961, a novembre partii per Napoli, dove superai con successo visite mediche e test iniziali e nell’aprile del 1962 raggiunsi Lecce per iniziare il corso da Allievo Ufficiale Pilota.
Quando hai volato per la prima volta?
Il corso prevedeva un primo mese di esercitazioni militari, studio, navigazione, meteo, insomma tutte materie inerenti al volo. Solo dopo iniziammo a volare con un T6 americano, un biposto in tandem a elica che aveva fatto la guerra ottenendo ottimi risultati.
Nel mio primo volo avevo come istruttore un Sottotenente, il quale pensò bene di inaugurare la giornata facendo acrobazie e giravolte. Ad un certo punto mi chiese tramite il collegamento radio: “Cappelleri, come va?”. Ci tengo a precisare che, oltre all’imbracatura, al casco e al paracadute, ci davano 2-3 buste di plastica da mettere in tasca in caso di necessità, una cosa fondamentale a cui non si poteva fare a meno. Io in quel momento risposi che stavo bene, ma in realtà avevo già le buste in mano, e solo quando tornammo a terra lui si accorse del mio viso pallido e stravolto. Quindi la mia prima esperienza è stata abbastanza negativa, ma col passare del tempo, andava sempre meglio. Ho continuato a volare, a fare le prove con l’istruttore e, dopo le prime 28 missioni di doppio comando, iniziai finalmente quelle da solista. Andò sempre tutto bene per fortuna, e riuscii a completare con un esito più che soddisfacente le 130 missioni previste dal corso.
Com’è proseguita la tua carriera?
Svolsi il mio percorso da allievo pilota con la costante sensazione di dover ritornare a casa da un momento all’altro, ma mi godevo l’emozionante avventura di un ragazzo del meridione che rincorre con tenacia il suo sogno. In 33 completammo il corso, 15 destinati a diventare piloti di aeroplani a elica da trasporto e 18, tra cui io, saremmo diventati piloti di jet per missioni belliche, volando sui nuovi mezzi per l’impiego in guerra.
Mi mandarono a Istrana, dove conobbi e volai con persone tra cui Nardini e Arpino che diventarono successivamente C.S.M.A. e Difesa. Diventai caccia intercettore sull’F86K, assegnato alla difesa del triangolo Milano-Torino-Genova, da eventuali attacchi aerei del blocco sovietico. Quando i radar intercettavano una traccia nemica, ci alzavamo in volo per abbatterli prima che raggiungessero l’obiettivo che noi proteggevamo. Più tardi passai a pilotare l’F104, la bara volante, un aeroplano da mach 2,2 (2600 km/h) che portava sia missili che cannoni da 24 mm, capaci di sparare migliaia di colpi al minuto.
Dopo essere diventato Ufficiale Effettivo presi contatti con l’Itavia e mi trasferii a Roma nel gennaio del 1972, dove iniziai a lavorare prima come pilota, poi come comandante e alla fine come istruttore. Ma in seguito al fallimento della società, causato dalla caduta di un aeroplano il 28 giugno 1980 e alla successiva campagna di stampa negativa sulla qualità della manutenzione, andammo tutti in cassa integrazione. Rimanendo senza lavoro ho accettato di spostarmi in Libia per istruire i futuri piloti di Gheddafi. Rimasi lì per 2 indimenticabili mesi, rientrato in Italia nel periodo del ramadan, mi chiamarono da Roma per iniziare la mia carriera in Alitalia. Ho avuto grandissime soddisfazioni come capitano di aeromobili e ho portato in giro per il mondo migliaia di persone, rendendomi conto di quanta inaspettata considerazione e stima ci fosse intorno a me, sia tra i passeggeri che tra i miei collaboratori.
Qual è stato il periodo più bello della tua vita?
Nel periodo in cui ero istruttore dell’Itavia, è entrato in servizio l’ATR 42-72, un aeroplano a elica per brevi viaggi. Le nazioni che acquistavano il mezzo, avevano bisogno di un istruttore che addestrasse i futuri piloti. Scelsero me e iniziò il periodo più bello della mia vita. Lasciai Alitalia e andai in Francia in Aerospatiale. Portavo l’aeroplano e i piloti nell’ultimo viaggio di rientro nelle loro nazioni, in giro per il mondo tra Europa, Nord e Sud America, Nuova Zelanda, Hawaii, Cina e India.
Ricordi qualche evento particolare della tua esperienza?
Mi ricordo che, rientrando da un viaggio in Grecia, il comandante di volo mi chiese la sera prima con la cartina in mano: “Cappellazzo, di dove sei tu?”. Io gli feci vedere il punto preciso dove si trovava Roccella. L’indomani quando volavamo sopra Corfù ci fece spegnere il segnale che comunicava la posizione alla base e invece di fare la rotta che avevamo stabilito e comunicato, girammo verso sinistra arrivando sulla costa calabrese. Guardando il panorama riconobbi il ponte di San Fili ed esclamai: “Giriamo 10 chilometri a sud”. E alle 10 e mezza di domenica mattina passammo su Roccella con 4 F104. Bisogna sempre rispettare un piano di volo, ma quel giorno facemmo tante infrazioni e solo quando ci trovammo nuovamente sulla rotta stabilita, riaccendemmo il trasponder. Successe altre volte di volare sopra Roccella e tutte le volte facevo un baccano tremendo, sapevano tutti che ero io. Quell’aeroplano faceva un suono simile a una melodia, quando lo sentivi ti vibrava tutto dentro che era una meraviglia.
Quale passione coltivi ancora oggi?
Dopo essere andato in pensione ho deciso di dedicarmi a una mia vecchia passione. Ho sempre amato la terra, sono stato per aria e alla fine mi mancava il mare. Così da un piccolo motoscafo che già possedevo sono passato a una barca a motore, per prenderne poi una a vela che ancora oggi utilizzo per qualche uscita con famiglia e amici. Negli ultimi anni mi dedico alla Lega Navale di Roccella con persone che condividono la mia stessa passione, organizzando attività che mirano soprattutto ad avvicinare i giovani al mondo della vela e a insegnare loro il rispetto per il mare.
Hai mai avuto paura?
Non mi sono mai posto il problema del pericolo o della paura, non ci ho nemmeno mai pensato. Ho avuto parecchie disavventure ma sono stato sempre determinato e concentrato nel cercare di risolvere tutto, forse con qualche tremolio di gambe una volta arrivati a terra. Per fare questo lavoro non devi avere paura, ho imparato a volare con la nebbia e anche di venerdì 17. Durante una missione notturna su Venezia, mi capitò che il motore dell’F86K che stavo pilotando si spense, forse a causa di un guasto o del ghiaccio sulle centraline. Con sangue freddo cercai di evitare qualsiasi errore impostando il circuito di emergenza per l’atterraggio, tentando ripetutamente di riavviare il motore. Dopo circa mezz’ora, all’altezza di 1.500 metri, fortunatamente si riaccese e riuscii ad arrivare a terra con non troppa difficoltà.
C’è qualche persona che ringrazi per tutto questo?
Nessuno mi ha spinto a fare questo, sono stato quasi costretto dalla necessità di trovare un lavoro al più presto. Poi nell’ambiente militare ho conosciuto persone squisite, fondamentali per il mio percorso e, nonostante le differenze di grado, il rapporto che ci legava e che continua ancora oggi, è sempre di stima e rispetto reciproco.

Autore: 
Giorgia Coluccio
Rubrica: 

Notizie correlate