Duisburg: l'occasione mancata!

Dom, 20/08/2017 - 16:00
A distanza di dieci anni dalla strage di Duisburg, la Locride continua a essere una terra in cui la ‘ndrangheta c’è ma contemporaneamente è terra di consigli comunali sciolti, locali chiusi arbitrariamente, funerali proibiti, processioni messe sotto tutela, retate a strascico che coinvolgono innocenti, elezioni comunali messe sotto osservazione con la scusa di elementi “controindicati”, sindaci convocati dalla commissione antimafia ancor prima di insediarsi, imprese soffocate.

La mattina del 16 agosto del 2007 apprendemmo attoniti la protervia e l’audacia dei “commandos” della ‘ndrangheta che, dopo la spavalda esecuzione di Francesco Fortugno, uccidevano sei persone a Duisburg.
La faida mostrava al mondo un volto ancora più spavaldo e sanguinario rispetto a due anni prima a Locri.
Sono passati dieci anni, pochi per scrivere la storia, sufficienti per un primo bilancio. Si sarebbe potuto evitare la strage? Forse sì! C’è qualcosa di inspiegabile in una faida che inizia nel 1991 e, dopo fasi alterne, tocca l’apice della ferocia e della irrazionalità nel 2007. Com’è potuto succedere che i protagonisti della faida fossero liberi di viaggiare in Italia e in Europa senza controllo? Qualcuno avrebbe potuto fermare la mano degli assassini?
Qualcuno avrà pensato (irresponsabilmente): “tanto finché si uccidono tra di loro”?
Domande destinate a restare senza risposta, oggi come dieci anni fa!
E a questo punto poniamoci una seconda domanda: si diede la risposta giusta e adeguata al dramma di Duisburg?
Dopo la strage apparve subito chiaro come l’antimafia ridotta a ottusa repressione, a mera riproposizione della legge Pica sia pure in chiave moderna, fosse miseramente fallita.
Duisburg lo gridava in faccia ai professionisti dell’antimafia.
Lo gridava in faccia al governo e al Parlamento italiano.
Al punto in cui eravamo arrivati - e in cui siamo - si doveva scegliere tra un’antimafia seria, ragionata e composta e quella dei pasdaran nel migliore dei casi o dei teatranti nel peggiore.
Alla fine hanno prevalso pasdaran e teatranti e hanno occupato le prime file.
Aggiungo: non ci può essere alcuna lotta seria alla mafia che non veda coinvolto il popolo. E oggi non lo è! E non lo sarà finché il popolo calabrese non sentirà lo Stato come proprio.
Eppure i giornalisti che dopo pochi giorni da Duisburg scesero a Polsi non trovarono una Calabria succube della ‘ndrangheta, prostrata e rassegnata. Incontrarono invece il vescovo di Locri, Carlo Maria Bregantini, non intimidito e non intimorito, ma deciso a battersi schierando tutta la forza della Chiesa sul terreno del riscatto della Calabria. Accanto a Lui, i sindaci della Locride i professori dell’Unical e di altre università calabresi. Tutti riuniti a Polsi che – come coglieva Le Monde – diventava simbolo di una nuova Resistenza. Tutti al Santuario e non per marcare la distanza dal popolo della “Montagna”- come altri avrebbero successivamente fatto - ma come fiera espressione di quel popolo.
Non chiedevano qualche opera pubblica in più e ancor meno di essere tacitati con l’elezione di un parlamentare ma avrebbero voluto cambiare lo Stato per come indicato dalla Costituzione.
Questo è stato detto in mille occasioni, questo è stato scritto nel “protocollo della legalità” all’interno del “progetto d’urto della Locride” approvato nell’assemblea degli eletti della Locride.
Nel mese di ottobre del 2007 all’Università della Calabria si è discusso della Costituente per un “Manifesto” della Calabria che, partendo da Polsi, avrebbe voluto e potuto coinvolgere il popolo calabrese.
Quel movimento fu isolato, soffocato e sconfitto anche grazie all’inconsistenza delle classi dirigenti calabresi.
A dieci anni da Duisburg abbiamo una certezza: la finta antimafia dei pochi – e non sempre buoni – ha vinto su tutta la linea!
Oggi qualche soldato e graduato di ndrangheta è in carcere ma la ‘ndrangheta rimane saldamente in piedi, più ricca, più intelligente, forse più “saggia” e accorta ma non meno pericolosa di prima.
Il vescovo Bregantini, accusato di “intelligenza col nemico”, è stato trasferito facendo perdere alla Calabria una postazione strategica.
Il consiglio comunale di San Luca è stato sciolto e il suo sindaco arrestato. Successivamente assolto!
La gente non è andata a votare, ritenendo le elezioni un rito inutile.
Lo stesso parroco di San Luca, don Pino Strangio, si trova sotto processo per il discutibile reato di “concorso esterno”.
Il tutto mentre la Bindi si reca a Polsi in elicottero e nelle iniziative pubbliche tenutesi a San Luca, le “autorità” non hanno dato la parola a nessun cittadino del paese.
Ci vogliono umiliare!
Esistono innumerevoli fatti e indizi che dimostrano una sola cosa: ci troviamo dinanzi alla criminalizzazione calcolata di un popolo - del nostro popolo - per come Pasquino Crupi aveva ampiamente previsto!
La ‘ndrangheta non è stata sconfitta in compenso s’è fatto a pezzi lo Stato di diritto. Lo dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, le retate a strascico con la cattura di innocenti; i consigli comunali sciolti a ripetizione, la democrazia sospesa, i locali chiusi arbitrariamente perché frequentati da persone “poco raccomandabili”; i funerali proibiti, le processioni messe sotto tutela; le elezioni comunali messe sotto osservazione con la scusa di elementi “controindicati”, i sindaci convocati dalla commissione antimafia ancor prima di insediarsi, le imprese soffocate.
Il tutto in una terra di emarginati, di disoccupati, di molte scuole in cui non si insegna, di ospedali-lazzaretto, di soprusi da parte delle classi dirigenti.
La ‘ndrangheta è stata lo schermo usato dai nuovi dominatori per espropriare il popolo di ogni residuo potere decisionale e, infatti, in Calabria, la parola “sovranità popolare” ha il sapore di una beffa.
Questa antimafia fa comodo a tanti ma non ai calabresi.
Personalmente non ho dubbi: la ndrangheta autentica abita “nel mondo di sopra” che produce virus e modelli comportamentali che la ndrangheta metabolizza e diffonde. Nel “mondo di sopra” le regole della mafia sono moltiplicate per mille, la ferocia è più ovattata ma ancora più pericolosa. “Vangelo” o “Santa” sono doti di poca cosa nel mondo del potere vero!
Infine una certezza: non si vincerà la lotta alle mafie finché la delegheremo - come oggi avviene - ai “cittadini” di quel “mondo di sopra” che non hanno alcun interesse di vincere la ‘ndrangheta ma solo a mettere il basto al popolo calabrese.

Autore: 
Ilario Ammendolia
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