"Farsa" politica: il sorriso e le lacrime

Dom, 22/03/2015 - 11:20
La sentenza di primo grado

Antonio Commisso, ex assessore ai lavori pubblici di Siderno non è mafioso!

Ha fatto un anno e tre mesi di carcere per il cognome che porta e per esser stato amministratore comunale di Siderno. Basta! Questa è la sua unica colpa!
A certificarlo il tribunale di Locri che lo ha assolto da ogni accusa.
Non è mafioso neanche suo cugino, Rocco Commisso il figlio del “Mastro” indicato come l'esponente principale della 'ndrangheta di Siderno.
Per entrambi la procura aveva chiesto una severa condanna a nove anni di carcere.
La decisione dei giudici smentisce la procura e blocca quanti vorrebbero certificare l'appartenenza alla 'ndrangheta utilizzando l'anagrafe comunale. Lo stato di famiglia non costituisce prova neanche in Calabria. Occorre qualcosa in più!
Almeno per questa parte l'inchiesta non ha retto al primo grado di giudizio. 
Severe invece le condanne comminate agli altri imputati.
Cosimo Cherubino già consigliere regionale dello SDI, e successivamente candidato con la destra, ha avuto la pena più alta: 12 anni di carcere.
I giudici che hanno emesso la sentenza, hanno applicato la legge. Sono stati severi ma senza farsi spingere verso una deriva di giustizia sommaria, tant'è vero che hanno nettamente distinto le diverse posizioni degli imputati.
Ma sulla “legge” che i magistrati hanno rigorosamente applicato, bisogna riflettere per non imprigionarci in un labirinto kafkiano dove non c'è nesso logico tra il reato eventualmente commesso e l'enormità della pena inflitta.
Pur nel massimo rispetto della persona di Cosimo Cherubino (o non è più tale?) non ho dubbi: la politica che fu anche sua doveva (e deve) essere sconfitta!
Non perché lo dica il codice penale ma perché è interesse della Calabria e dell'Italia intera.
Ma è questa la strada maestra?
Sarà interessante leggere le motivazioni della sentenza.
Mi limito però a osservare che nessuno degli imputati dello scandalo Mose o delle “grandi opere”, dell'Expo, della ricostruzione dell'Aquila ha finora avuto una pena superiore a cinque anni.
Eppure nei casi citati i miliardi sono realmente spariti e le prove sembrano inconfutabili.
Nel recente scandalo “Incalza” il gip ha respinto - giustamente - la richiesta di contestare agli imputati il reato di associazione a delinquere. Non c'erano le prove! Il 98% degli imputati risponderà a piede libero.
Dell'Utri e Cuffaro, pur accusati di “concorso esterno”, hanno avuto metà degli anni di Cherubino, oltre al “privilegio” di essere processati da uomini liberi.
Previti e Squillante hanno avuto condanne molto più lievi di Cherubino. 
Galan meno di un terzo.
Cherubino ha avuto una pena di poco inferiore a Stasi che avrebbe ucciso a freddo la ragazza che lo amava.
C'è una logica in tutto ciò?
Sì! C'è sullo sfondo la Calabria, una terra in cui la “repressione” sostituisce la “Politica”. 
In questo caso, non per responsabilità dei giudici ma di una classe politica inadeguata e codarda.
Infatti sarebbe stato compito della politica, soprattutto della Sinistra,  affrontare in campo aperto e vincere i mille Cherubino che hanno operato e operano in Calabria, invece hanno beneficiato dei loro voti ed hanno fatto finta di non vedere. 
È una stolta illusione anzi una calcolata menzogna, pensare che un certo modo di far politica sia appartenuta solo a Cosimo Cherubino. Se così fosse stato avremmo notato il contrasto stridente tra un “rappresentante delle cosche” e il resto de consiglieri regionali con i quali ha operato - fianco a fianco - per 5 anni. 
Avremmo avuto un naturale “rigetto” quando ha pensato di ricandidarsi.
Così non è stato, il che significa o che Cherubino non ha rappresentato le cosche oppure che non è stato un corpo estraneo in seno al consiglio regionale e nel contesto della politica calabrese. 
Occorre consapevolezza che attribuendo ai magistrati un ruolo squisitamente politico, il “capro” ucciso nelle aule di giustizia rinasce ogni giorno sotto altre spoglie e diventa garanzia di una sostanziale continuità.
È questo che vogliamo?
Vogliamo illudere i calabresi indignati per i privilegi della “razza padrona” e per le disuguaglianze inaccettabili, stremati dalla crisi, che basta accendere un rogo per risolvere la situazione?
Attenti perché la storia ci insegna che, molto spesso, sul rogo non si bruciano le streghe!

Autore: 
Ilario Ammendolia
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