Gian Antonio Stella

Mar, 16/11/2010 - 00:00
Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è un giornalista importante, ha scritto libri importanti, si è interessato più volte dei nostri problemi e li ha illustrati con una mostra, da lui curata, e dalla Regione ben pagata, sull’emigrazione. Come colonna sonora del Corriere della Sera non sappiamo, ma come altoparlante della Calabria scrive un tanto al rigo. Quanto non è dato conoscere. Alcuni anni fa aveva pubblicato un saggio dal titolo Sghei. Saggio dal quale derivammo che i veneti emigranti risollevarono il loro territorio dalla miseria perché erano grandi lavoratori. Il che non accadde per la Calabria, i cui emigrati all’estero amavano sdraiarsi al sole come le lucertole. Insieme a Sergio Rizzo, in tempi più recenti ha pubblicato un libro, La Casta, che era destinato a riportare l’eguaglianza tra i cittadini italiani. So che non avvenne. Avvenne invece che furono vendute milioni di copie e, siccome gli intellettuali italiani scrivono per vendere ma non per educare, da li a breve tempo la grande coppia scrisse un altro libri scandalistico, La deriva. Senza successo editoriale. Questo è il sacro passato di Gian Antonio Stella. E veniamo ai nostri giorni, a qualche giorno fa, precisamente il 16 Gennaio. In tale fausto giorno Gian Antonio Stella pubblica sul Corriere della Sera un articolo con il titolo “Riscoprire i maestri del buon italiano”. Che fa Gian Antonio Stella? Recupera dalla sua memoria un lacerto del libro Cuore dove il De Amicis così dice di un ragazzo calabrese e cosi moncamente trascrive Gian Antonio Stella: “Il direttore, dopo aver parlato nell’orecchio al maestro, se ne uscì lasciandogli accanto il ragazzo, che guardava noi con quegli occhioni neri, come spaurito. Allora il maestro gli prese una mano e disse alla classe: - Voi dovete essere contenti. Oggi entra nella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabria a più di cinquecento chilometri di qua. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano”. Il De Amicis prosegue in questo modo: “Egli è nato in una terra gloriosa che diede all’Italia degli uomini illustri, e le da dei forti lavoratori a dei bravi soldati; in una delle più belle terre della nostra patria, dove sono grandi foreste e grandi montagne abitate da un popolo pieno di impegno e di coraggio.” Ovviamente, questa frase è tagliata da Gian Antonio Stella, che di tutta evidenza ci considera una terra barbara. Ma lo scasso logico non sta in questo. Sta nel fatto che Gian Antonio Stella s’avvale del brano deamicisiano per dire che i maestri sono utili. Quando vero è che con quella paginetta il De Amicis dà inizio all’idea del povero calabrese minorenne che va assistito. Questo noi l’abbiamo capito, Gian Antonio Stella, che è un fesso calcolato, no.

Autore: 
Pasquino Crupi