Ginepro licio

Lun, 20/08/2018 - 16:00
I Frutti dimenticati

La pianta appare somigliante al cipresso però, osservandolo bene ci si accorge che differisce anche per la forma che assume.
Infatti la chioma tende ad essere espansa ed articolata sin dalla base e la corteccia del tronco e dei rami maturi tende a distaccarsi e a screpolarsi.
Essa non ama i terreni fertili, specie quelli che ritengono umidità e preferisce quelli assolati delle aree litoranee fortemente argillose ed addirittura non disdegna di collocarsi nei calanchi dell’area ionica meridionale della provincia di Reggio, dove penetra nell’entroterra fino ad una profondità di pochi km.
Addirittura essa è una pianta pioniera ossia prepara condizioni migliori per eventuali piante che dovrebbero in prospettiva sostituirla.
La sua crescita è lentissima e riesce a raggiungere dimensioni arboree modeste in svariati decenni, mentre la sua propagazione è demandata a bacche o coccole perfettamente sferiche che non superano 0,8 cm di diametro, che assumono a maturazione un colore tra il rossiccio e l’avana scuro.
Tra i paesi del parco il numero più consistente di piante spontanee si trova a Condofuri , mentre fuori da esso qualche esemplare è presente nell’area di Peristerea nel comune di Bova Marina.
A ridosso poi del cimitero di Palizzi Marina una pianta spontanea supera la dimensione arbustiva, presentandosi con una chioma espansa e con un tronco di circa 45 cm di diametro .
Esisteva un boschetto di ginepro di circa dieci ettari in contrada Vadicamò del comune di Bova Marina fino alla fine degli anni 90 del novecento, quando un incendio lo cancellò, grazie alla mancanza di strisce antincendio che solitamente effettuavano gli operai forestali, che numerosi erano attivi nel suddetto comune.
La propagazione della pianta non è facile ed è demandata agli uccelli che mangiano le bacche ed espellano i semi con gli escrementi; solo da tali semi espulsi dagli uccelli nascono le piante.
Aveva osservato tale modalità di riproduzione il prof. Francesco Violi di Bova Marina,docente di matematica all’istituto tecnico per il turismo di Gioiosa Marina, dove vive, che pensò che i succhi gastrici erodessero la patina esterna dei semi stessi rendendoli germinabili per cui mettendo a dimora i semi stessi e bagnandoli con acqua contenente escrementi di gallina, che hanno una funzione erosiva, fu capace di riprodurre le piantine.
Agli inizi degli anni 80 del 900, cominciò a mettere a dimora le prime piantine nel fondo di famiglia in contrada Limaca del comune di Bova Marina e poi continuò con l’aiuto della dinamica sorella Carmela ed in seguito con quello della splendida nipote Raffaella Leone ; ora esiste un boschetto artificiale che ha sostituito quello distrutto di contrada Vadicamò.
L’opera del prof. Francesco Violi, di sua sorella Carmela e della nipote Raffaella Leone continua nel difendere la pianta dall’estinzione, ed essi continuano a riprodurla e a regalarla, per cui molte piante ormai si ritrovano al di fuori del comune di Bova Marina e di quelli limitrofi dove cresceva spontaneamente.
L’uso del legname de ginepro licio, secondo l’interpretazione colta di Bova
Si raccontava, con una certa fantasia, che anticamente le coste della Calabria e della Sicilia, fossero abbellite da boschi di ginepro fenicio, che a Bova veniva chiamato in greco cletharo ( fonte dott.Bruno Traclò), probabilmente abbastanza grandi da poter ricavare del legname. Esso era resistentissimo, di lunghissima durata e leggerissimo e con esso i cartaginesi costruivano le loro navi, che praticamente erano irraggiungibili.
Dopo la prima guerra punica i romani scoprirono l’uso del legname del ginepro fenicio e fu la rovina di tale essenza preziosissima, in quanto essendo a lentissima crescita, i boschi non poterono essere ricostituiti; essi furono rappresentati solo marginalmente con qualche esemplare e limitatamente nell’area della Bovesia con pochissimi esemplari, in riferimento alla Calabria meridionale.
La conservazione della specie, secondo l’interpretazione contadina di Bova
I contadini di Bova, pratici e poco inclini alle interpretazioni sofisticate, avevano notato che il legname del cletharo era fortissimo e di lunghissima durata, capace di resistere per centinaia di anni pure in condizioni non favorevoli( l’umidità ad esempio ), per cui facevano fabbricare gli stipiti delle porte e delle finestre con l’essenza preziosa di tale pianta ed ancora a distanza di centinaia di anni gli stipiti delle case contadine di Bova lo testimoniano.
Inoltre, chi aveva la fortuna di poter recuperare dei pali per la propria vigna, era tranquillo per tutta la vita, in quanto essi duravano per circa sessanta settanta anni.
Di conseguenza le poche piante di cletharo, venivano rispettate e salvaguardate e solo da esse veniva ricavato il legname, con la potatura e pulitura, mai con il taglio totale di un esemplare.
Utilizzazione del Cletharo presso il tempio di Era Lacinia a Crotone
L’ex direttore del Parco dell’Aspromonte, il dott. Tedesco, ripropone una tesi inedita e molto interessante sulla costituzione del bosco sacro attorno al tempio di Era Lacinia a Crotone, di cui parla diffusamente Tito Livio nelle sue Storie nel libro XXIV -3.
Secondo il suo punto di vista era impossibile che il bosco sacro attorno al tempio di Era fosse costituito da abeti, per ovvi motivi climatici, sorgendo a ridosso del mare, a quote altimetriche molto basse, per cui avanza l’ipotesi molto probabile, che fosse costituito invece da piante di Juniperus Turbinata o ginepro licio.
Non solo egli è convinto di questa ipotesi, ma ha persuaso anche i responsabili della Sovrintendenza Archeologica che intenderebbero ricostituire il bosco con le essenze suddette assieme ad altre costituenti la macchia mediterranea.
Egli si è rivolto a me perché gli indicassi le rare piante da cui recuperare le coccole o semi e poi procedere alla riproduzione, tramite la procedura che solo il prof. Violi o sua sorella Carmela e la nipote Raffaella Leone di Bova Marina conoscono. Personalmente ho due piccole piante ricche di semi quasi mature che darei volentieri al dott. Tedesco, ma la stessa cosa farebbero Carmela Violi e Raffaella Leone, solo che ho perso il numero dell’ex direttore del Parco e non so come contattarlo
Rischio d’erosione genetica: altissimo

Autore: 
Orlando Sculli
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