Il curioso caso del senatore Pietro Fuda

Dom, 17/03/2019 - 11:20

C’è qualcosa che non torna nella sentenza che stabilisce l’incandidabilità dell’ex sindaco Pietro Fuda. E si tratta di qualcosa che non riguarda solo Fuda ma ognuno di noi. Premetto che personalmente, pur essendogli amico, non l’ho mai votato, quindi “vergin di servo encomio” intravedo in questa vicenda alcune anomalie di non poco conto:
Pietro Fuda è stato assessore alla Regione Calabria quando presidente della Regione era un alto magistrato come l’ex procuratore generale di Catanzaro dottor Giuseppe Chiaravalloti che gli ha conferito la delega più pesante: i lavori pubblici. Non mi sembra abbia mai ricevuto neanche un avviso di garanzia mentre ha ricoperto l’incarico.
È stato presidente della Provincia di Reggio Calabria e nessuno ha avuto da ridire.
Ma soprattutto, in qualità di senatore della Repubblica, è stato determinante nel tenere in vita il governo Prodi. E a questo punto il discorso si fa più delicato e vi prego di seguirlo con attenzione.
C’è chi dice che “Forza Italia”, sin dal momento della sua fondazione, abbia avuto l’appoggio delle mafie e della massoneria deviata. Io sono garantista e ho seri dubbi ma esistono sentenze che dimostrerebbero tale tesi: per esempio la condanna del senatore Dell’Utri riguardo la Sicilia e dell’on. Matacena in Calabria. Ribadisco: è solo un’ipotesi tutta da provare mentre è certo che per far cadere il governo Prodi siano stati corrotti alcuni senatori. Qualcuno di questi è reo confesso, mi riferisco al senatore De Gregorio che ha ammesso di aver ricevuto tre milioni di euro per cambiare schieramento.
Fuda è rimasto al suo posto.
Sordo ad autorevoli personaggi di statura nazionale che, secondo la magistratura, erano organici alla mafia e alla ndrangheta, insensibile alla compravendita nelle aule parlamentari.
Diventa uomo vicino alla ndrangheta nel momento in cui accetta di far il sindaco di Siderno con l’appoggio del PD, della Sinistra e del Centro democratico.
E come avrebbe dimostrato la sua vicinanza alle cosche?
Spendendosi per l’elezione di una persona perbene come Paolo Fragomeni alla presidenza del consiglio comunale e, secondo l’accusa, “agevolando” alcune imprese ad aggiudicarsi dei lavori sotto la soglia di 40.000 euro.
Un uomo decisamente strano questo Pietro Fuda!
Non si fa condizionare da coloro che secondo la magistratura sono stati autorevoli esponenti di caratura nazionale del mondo “politico- mafioso” nel momento in cui in gioco c’era la presidenza del consiglio dei ministri e diventa permeabile alle sirene della ‘ndrangheta quando c’è da eleggere il presidente del consiglio comunale d’un paese, sostanzialmente piccolo, della Calabria.
Aggiungiamo: rifiuta tre milioni di euro (al netto di trattenute) per sé e poi si spende ad agevolare qualche ditta per lavori in cui il profitto razionalmente non può essere superiore a 4-5 mila euro!
Non sta in piedi!
E come se una persona rifiutasse in “dono” un bar nella galleria di Milano e poi venisse scoperto a rubare una busta di caramelle nello stesso locale.
Il destino politico di Fuda (che ha 76 anni) non sarebbe oggettivamente di vitale importanza per le sorti della Regione Calabria ma lo diventa nel momento in cui si trasforma in una spia del pericolo che corre la nostra libertà e la nostra democrazia.
In questo senso, il commissariamento dell’Asp di Reggio aggiunge un altro tassello a una strategia già nota. So bene che l’opinione pubblica esasperata ha accolto con sollievo il commissariamento, “peggio di così non si potrebbe fare”! Ma una domanda è d’obbligo: Ha portato a una svolta radicale la precedente nomina di un generale dei carabinieri a commissario straordinario all’Asp di Reggio? E cosa ha risolto la commissione straordinaria formata da generali e prefetti, nominata all’indomani del delitto Fortugno, all’ASL di Locri? Ed è in corso una svolta dopo la nomina di un generale dei carabinieri in pensione a dirigere la sanità calabrese? Infine, un’ultima domanda: per Riace c’è stata un’inchiesta che ha portato all’arresto del sindaco Lucano e avvisi di garanzia a una trentina di persone, dopo anni di intercettazioni e un rapporto di tremila pagine per capire la legittimità della spesa di tre milioni di euro. All’Asp di Reggio dove si pagano 70 milioni annui di soli interessi a un tasso tra il 10 e il 12% perché nessuno, negli ultimi 20 anni sembra aver indagato? Non sarebbe stato utile pensare a una seria politica di prevenzione dello spreco e delle corruzione invece di mandare commissioni di accesso “ad muzzum” a Careri, San Giovanni di Gerace e Marina di Gioiosa? Quali interessi e quali paure avranno bloccato le indagini? Ci sono protettori? E a quale livello?
Senza rispondere a tali domande ogni commissariamento sarà inutile, dannoso, umiliante per noi calabresi!
La Calabria non è una caserma e non ha bisogno di generali, prefetti, e PM di assalto. Avrebbe bisogno di più Politica, di più trasparenza pubblicando tutti gli atti dell’Asp, e di più partecipazione. Ed è quella che si vuole scoraggiare nel tentativo di fare della Calabria la Vandea d’Italia.
In questi anni s’è fatta strada una strana idea che prende forma nell’archetipo del “calabrese-pecora” che  deve essere “protetto” e “diretto” perché non sarebbe in grado di eleggere i propri amministratori e non è nelle condizioni di vivere in libertà! In verità l’attuale classe dirigente calabrese a tutti i livelli, e salvo qualche rara eccezione, appare di una subalternità e di un’inconsistenza imbarazzante. E ciò ha convinto chi ci comanda e stabilisce le regole di gioco da 70 anni e passa, che sia necessario un “buon pastore” che dall’alto protegge e guida col bastone il “popolo-gregge” curandosi di individuare gli eleggibili e i non eleggibili, i candidabili e gli incandidabili, i “buoni” e i “cattivi”. Fanno finta di cambiare tutto affinché nulla cambi! E tutto ciò sta avvenendo senza incontrare “Resistenza” ma addirittura con gratitudine perché, come dicevano gli antichi inquisitori, ciò avviene solo e sempre “ad maiorem gloriam Dei”.

Autore: 
Ilario Ammendolia
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