La replica: Taranto contro Ammendolia

Lun, 28/07/2014 - 18:54

Col libro Il Partito Comunista Italiano e la “Repubblica di Caulonia” del 1945, edito da Laruffa Editore, io non mi proponevo affatto di scrivere la storia di quella rivolta, ma ho cercato soltanto di respingere il tentativo di addossare al PCI la responsabilità di essere stato complice e traditore di quell'evento.  A questo intento mi sono attenuto. Questo mio lavoro è stato accolto con molto interesse da una vasta platea di lettori a Caulonia e nella zona ionica. Ho ricevuto attestati di stima da molti lettori di elevato prestigio intellettuale. È stata particolarmente apprezzata la puntuale e rigorosa ricerca e la solidità dell'argomentazione. In base alle quali, quella rivolta del 1945, viene da me ritenuta una miope avventura.
Il professore Ilario Ammendolia non è d'accordo con me e lo scrive in un articolo apparso su La Riviera di domenica 13 luglio.
Io non contesto affatto il diritto del prof. Ammendolia di non essere d'accordo con me: ben venga il confronto delle idee, la discussione aperta e leale. Quello che io gli contesto è la falsificazione di taluni fatti con l'intento di distogliere l'interesse dei lettori dal mio libro.
Infatti, egli, riferendosi a me, prima mi definisce «antico militante comunista» - cioè fuori dalla modernità - e in seguito tra l'altro afferma: «Per dimostrare la propria tesi l'autore, più che a documenti storici, attinge ai suoi personali ricordi e a quelli di tanti altri militanti del PCI dell'epoca».
Non è vero! Non è per niente così e lo dimostro! Tutte le confutazioni o affermazioni che il mio libro contiene sono tutte sorrette da dimostrazioni che reggono ogni prova. Io, oltre ai personali ricordi e più ancora che a questi ricordi, mi sono molto dedicato alla ricerca dei fatti reali, ricorrendo all'ausilio di molti documenti storici o a fonti certe. Ne cito solo alcuni: il libro del 1977 La Repubblica Rossa di Caulonia, che riporta scritti di Pasquino Crupi, Enzo Misefari, Eugenio Musulino e, soprattutto, Sharo Gambino con l'intervista a Pasquale Cavallaro; il libro del 1965 “Da Teheran a Yalta” con i verbali delle conferenze tra Churchill, Roosevelt e Stalin, dove si decisero le sorti del mondo; il quinto volume della “Storia del PCI” di Paolo Spriano;  il libro del 1992 di Antonio Nicaso “Usurpatori e Usurpati” e altri ancora. Ho consultato l'Archivio Storico Centrale di Roma, l'Ufficio Anagrafe di Caulonia, il Comune di Lamezia Terme, gli archivi dei giornali russi Pravda e Izvestia, nonché i documenti relativi al V Congresso del PCI che si aprì il 29 dicembre 1945, eccetera. Tutto ciò per capire i fatti reali e inquadrare la situazione dell'epoca nel contesto locale, nazionale e internazionale. La lettera del 1973, con la quale il comunista Vincenzo De Guisa fa la sintesi della storia della sezione comunista di Caulonia, dalla fondazione al 1946, è un indubbio documento storico e come tale da me utilizzato.
Ma l'articolo del prof. Ammendolia contiene anche altre affermazioni e frasi prive di fondamento: mi attribuisce tesi o frasi che nel libro non esistono o fa una forzatura nei riferimenti alla ndrangheta. Per esempio, scrive Ammendolia: «Né d'altra parte, sempre secondo Taranto, vi era necessità di organizzazioni clandestine per inviare “armi ai partigiani”. Il governo dell'Italia liberata era interamente impegnato su questo fronte». È questa una tesi interamente falsa, di cui non c'è la minima traccia in nessuna delle pagine del mio libro. Simili cose costituiscono una manipolazione della verità. Ammendolia nella sua descrizione falsifica persino il titolo del mio libro aggiungendovi l'aggettivo «rossa» a «….Repubblica di Caulonia…», trasformando così il titolo «…Repubblica rossa di Caulonia…». Io questo aggettivo non l'ho usato a ragion veduta: per me si è trattato soltanto del sollevamento degli uomini armati di Cavallaro, che di rosso non aveva nulla. Se c'è chi voglia vedere in ciò le masse contadine, commette un errore. Perché le masse contadine come tali non venivano coinvolte e ad esse non era riservata nessuna rivendicazione e nessun ruolo specifico. Nella tematica della rivolta del 1945 non c'era proprio nulla che potesse essere riferito ai loro bisogni e ai loro interessi economici e politici di classe, o al socialismo più in generale, neanche genericamente. La rivolta aspirava ad un potere fine a se stesso. Tanto è vero che per darle dignità politica bisogna appiccicarla falsamente al PCI, invece di cercarla in se stessa.
Concludendo. Io sono per il reale confronto delle idee, ma non accetto la deturpazione della realtà dei fatti.

Vincenzo Taranto

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