Nello scrigno dei nostri tesori: l’Epifania di Siderno

Lun, 11/01/2016 - 19:36

Quando apriamo il fantasmagorico scrigno dei beni archeologici e storico-artistici della nostra amata Calabria, non possiamo non riscoprire ogni volta una “perla” disconosciuta fuori dagli ambienti degli addetti ai lavori e ignorata al di là dei confini regionali, dove ci siamo (o dovremmo esserci) affermati, nell’immaginario collettivo, come “terra di Magna Grecia”, e per giunta spesso limitatamente alla preziosa ma a volte ingombrante presenza dei Bronzi di Riace. E così si presenta a noi una straordinaria testimonianza iconografica della scena dell’Adorazione dei Magi, ben più antica del trecentesco affresco dipinto nella Cappella degli Scrovegni di Padova da Giotto, che in questi giorni tutti citano per aver inventato, sotto la suggestione del passaggio all’epoca della cometa di Halley, la stella cometa.
Si tratta di una sottile lamina d’oro circolare, lavorata a sbalzo, di circa 5 cm di diametro - in termine tecnico bràttea -, rinvenuta nel 1886 a Siderno, entrata nelle collezioni del Museo Nazionale di Reggio Calabria e oggetto di studi approfonditi da parte del dott. Giacomo Oliva della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria.
Originariamente doveva forse risultare applicata a impreziosire una scatoletta di legno - materiale deperibile che non si conserva se non in eccezionali condizioni climatiche - con ogni probabilità il coperchio di un contenitore di reliquie. Tenuto conto che i confronti stilistici indicano una produzione nell’area del Medioriente, si può immaginare che si tratti di un oggetto portato da un pellegrino dalla Terra Santa, oppure da monaci trasferitisi da quelle zone, i quali, proprio col venerare le ossa dei santi monaci defunti, contribuivano in quei tempi a dar vita alla tradizione del culto delle reliquie.
L’archeologa Margherita Corrado, esperta, tra l’altro, di oreficeria bizantina, trova, invece, un puntuale confronto con alcune fibule – assimilabili alle odierne spille – rinvenute nel territorio di Crotone, che, nella loro integrità, mostrano come la “brattea” in oro risultasse incassata al centro di uno spillone in lamina d’argento a forma di scatoletta circolare incavata.
È databile tra VI ed inizi VII secolo d.C. e ci rimanda dunque all’alto Medioevo, allorquando la Calabria diventa parte dell’Impero Romano d’Oriente e assorbe la cultura bizantina in modo così profondo da essere ancora oggi una componente essenziale nella sfera devozionale espressa dalla nostra regione.
La scena raffigura un’Epifania di Gesù, che si manifesta in grembo alla Madonna, assisa in trono come le dee pagane della fertilità e al pari di una basilissa, un’imperatrice bizantina, ma dotata di un’aureola che ne esplicita l’altissimo livello spirituale conseguente al suo essere thetòkos, generatrice di Dio. I Magi, vestiti all’orientale di una corta tunica e con in testa un berretto frigio, incedono guidati da una stella a otto punte connotata per la presenza di una coda come “cometa”. Li sorvola un angelo, che richiama la Vittoria alata delle scene di tributo all’imperatore. L’iconografia ufficiale di tradizione romana viene dunque sfruttata, come già nell’arte funeraria tardoantica, per formulare il dogma dell’incarnazione, il cui primo passaggio, quello della Natività, viene riprodotto nel riquadro sottostante della brattea – detto esergo – in un “presepe” in miniatura col bambinello in fasce adagiato sulla culla e la stella soprastante, il bue e l’asino, e un pastore con una pecora da ambo i lati.
Un piccolo reperto, dunque, ma preziosissimo nella sua raffinata esecuzione e pregno di significati nel messaggio che veicola: ancora una volta un tassello del nostro glorioso passato che ci aiuta ad affrontare a testa alta questo difficile presente.

Autore: 
Roberta Schenal
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