Siamo tristemente abituati ad associare le strutture ospedaliere nostrane a bui episodi che possono andare da casi di malasanità alla chiusura di reparti o interi nosocomi; e di fronte alla possibile scelta tra una visita specialistica in uno dei nostri ospedali e una presso la più putrida stamberga purché a Nord collocata, non ci pensiamo due volte a prendere la via delle Alpi. Inutile negarci che tra tagli, piani di rientro e carenze strutturali lo stato di salute, scusate il gioco di parole, della nostra Sanità non sia dei migliori; ma è anche vero che se ci si sofferma solo sulle mancanze e sui disservizi facciamo un grave torto a quelle centinaia di validi professionisti che ogni giorno si rimboccano le maniche e affrontano quei tagli e quelle carenze per offrirci la miglior assistenza possibile. La storia che sto per raccontarvi, non ve lo nego, mi inorgoglisce particolarmente sebbene in un primo momento ho temuto di aver capito male o di aver preso un abbaglio: una famiglia di grandi imprenditori del Nord mi celebrava l' assistenza seria e scrupolosa e l'umanità ricevuti in uno dei nostri ospedali. E sì, già mi sembra di vedervi mentre increduli vi stropicciate gli occhi, ma avete capito benissimo. A raccontarmi la storia è Roberto il più giovane della famiglia Giunta, famiglia di imprenditori originari di Melito ma trasferitisi a Milano da giovinetti e cresciuti lì. “Il ritorno”, come spesso accade, era avvenuto qualche settimana fa a causa dalla malattia dell'amata nonna Maria Palma, ricoverata prima presso l'ospedale di Melito e poi a Locri nel reparto di terapia intensiva e sub terapia del direttore Adamo.«Abbiamo trovato un calore, un'umanità assoluti. Nulla a che vedere con l'immagine degli ospedali del Sud che circola di solito. Una cosa da sfatare assolutamente. I medici ci hanno seguito passo passo spiegandoci ogni cosa e con la stessa dedizione per tutti gli ammalati. Ho visto una voglia di lavorare assoluta». L'entusiasmo del giovane e la voce ferma e convinta mi spiazzano. Sì, sta parlando di noi. E sta parlando di un' unità che sorge in un ospedale ormai ridotto all'osso, dove neanche qualche giorno fa due reparti sono stati “declassati” ad ambulatori. Più e più volte il nosocomio locrese ,lo sappiamo, è stato nell'occhio del ciclone ma ricordiamoci che si parla di una realtà importante e da tutelare, per tutelare noi stessi e un bacino d'utenza di ben 140.000 abitanti e 42 comuni. La stessa professionalità, la stessa dedizione a quello che più di un lavoro è una missione dovremmo ricominciare a vederla anche noi e a farla vedere a chi ci rappresenta ai piani alti. «Io e la mia famiglia-continua- non possiamo smettere di ringraziare il direttore del reparto Adamo e i dottori Blefari, Nicita, Sinopoli, Zannino, Raso, Putortì, Archinà, Rullo e tutto il personale paramedico. Fare sanità qui al Sud è due volte più duro». E' così. E noi lo sappiamo. Ma sono quei centinaia di dottor Adamo, Blefari, Nicita che affollano le nostre corsie che una luce in fondo al tunnel ce la fanno intravedere; purché il tunnel non lo chiudano. Cari conterranei, non siamo abituati ma questa volta ci tocca: leviamoci le orecchie d'asino da ultimi della classe e abbandoniamo il cantuccio dietro la lavagna. Stavolta siamo stati promossi.
Ospedale di Locri: e se l’elogio viene dal Nord vale due volte
Autore:
Anna Laura Tringali
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