Quando la 'ndrangheta era comunista

Dom, 18/06/2017 - 10:37

Nel febbraio del 1945 Roccaforte del Greco è indicata come la Stalingrado della Calabria per l’altissima percentuale di militanti comunisti. Molti di loro, o quasi tutti, erano anche 'ndranghetisti.
Per il vecchio ordine, comunisti o 'ndranghetisti sono quasi la stessa cosa e infatti tanto gli uni che gli altri venivano associati nelle patrie galere.
Sindaco del paese è un calzolaio Orlando Cassini, comunista e, probabilmente, 'ndranghetista.
Un sindaco calzolaio è già una rivoluzione.
Una notte qualcuno spara contro la caserma dei carabinieri. Qualche ora dopo una “ronda” di carabinieri e “volontari” armati escono alla ricerca dei probabili responsabili. Viene ingaggiato un conflitto a fuoco e uno dei “volontari” viene ucciso.
Gli esponenti dell’antico ordine sociale indicano nel sindaco Cassisi il responsabile e l'ispiratore dell’agguato contro i carabinieri.
Un gruppo di facinorosi circonda la casa del sindaco che si barrica dentro con la moglie, la suocera, un fratello e quattro figlioletti tremanti. Gli assedianti riescono a penetrare all’interno dell’abitazione.
Cassisi è armato. Spara e uccide uno degli assedianti e mettendo in fuga gli altri.
Verrà arrestato e destituito da sindaco ma resterà comunista.
Solo un mese dopo i fatti di Roccaforte la rivolta esplode a Caulonia.
I rivoltosi di Caulonia “arrestano” i carabinieri e le guardie forestali, istituiscono il “tribunale del popolo”, sequestrano la famiglia del pretore, minano i ponti di collegamento al paese, armano un esercito di contadini scalzi, malvestiti, spesso analfabeti, proclamano la Repubblica.
Processano e condannano, spesso arbitrariamente, (sulla scia di quanto avveniva nei tribunali dello Stato), i presunti “nemici della popolo”.
I grandi giornali nazionali bollano “la Repubblica di Caulonia” come una rivolta di 'ndrangheta, utilizzando soprattutto i precedenti penali del sindaco comunista, Pasquale Cavallaro. “[...]Il parroco Amato è stato barbaramente ucciso nella sua dimora di campagna. Egli non aveva che un nemico, il delinquente sindaco Cavallaro [...]. Costui, che non avrebbe potuto essere elettore, da 18 mesi era a capo dell’amministrazione comunale. Nella Locride, purtroppo, tutta la malavita e tutta la mafia trova ricetto nelle fila del Partito Comunista” (da Il Popolo, organo della Democrazia Cristiana). Palmiro Togliatti da una lettura dei fatti decisamente diversa: “Musolino ci ha descritto in termini commoventi la situazione reazionaria di quella provincia e ampiamente illustrato gli ultimi incidenti che vi si sono prodotti. Noi siamo solidali con quei contadini e quei lavoratori della Calabria i quali lottano in condizioni così difficili per la loro libertà. Non c’è bisogno che io dica qui che siamo pienamente solidali col compagno Cavallaro per l’azione che egli ha condotto a Caulonia in difesa delle libertà elementari di quella popolazione e per riuscire a opporre una barriera all’avanzata delle forze reazionarie”.
Un anno più tardi ad Africo (vecchia) i “comunisti” andranno all’assalto della stazione dei carabinieri, utilizzando finanche bombe a mano. Protestano perché un militante del partito era stato fermato, portato in caserma e picchiato al solo scopo di rubargli un paio di scarpe nuove. I rivoltosi sono capeggiati da un ex ergastolano: Santoro Maviglia. Un uomo, entrato nel carcere come criminale comune, dove però ha colto l’occasione del riscatto. Nel suo peregrinare nelle patrie galere ha avuto modo di incontrare molti detenuti politici tra cui Gramsci. Uscirà dalle galere fortemente politicizzato, quasi un anarchico che si adatta al partito comunista.
Potrei citare altre mille episodi simili a quelli di Caulonia, Africo, Roccaforte. Molti anche successivi agli anni della guerra, tra cui l’appoggio incondizionato dato dal PCI al sindaco di Canolo Nicola D’Agostino quando venne mandato al confino. D’Agostino era ritenuto - e giustamente - il capo della locale 'ndrangheta.
Il PCI contesta il provvedimento sul piano teorico con uno scritto di Rosario Villari su “Nuovi Argomenti”; sul piano politico con un vibrante intervento di Mario Alicata contro il confino di polizia.
Ci sono documenti inoppugnabili che dimostrano il legame tra il PCI e la 'ndrangheta.
Nel 1944 Adalino Bigotti, dirigente nazionale del PCI, annota nei suoi verbali, redatti nella federazione di Reggio Calabria, l’esistenza di squadre d’azione composte “esclusivamente di elementi di malavita", da usare, secondo l’intenzione dei compagni, per “azioni di difesa” all’interno delle quali “il caposquadra è per lo più un maffioso come pure il vice caposquadra. Mentre il commissario è sempre elemento politico con funzioni di controllo e propagandistiche, e diritto di veto. I compagni garantiscono della bontà del sistema” (Piero Bevilacqua).
Secondo Bilotti, Eugenio Musolino, futuro deputato alla Costituente e autorevole esponente del partito (per il quale aveva scontato una decina di anni di carcere), afferma: “Nella provincia di Reggio quelli che hanno dieci in condotta sono elementi passivi, quelli che hanno zero in condotta sono elementi combattivi di fronte ai padroni”.
La storia corrente scritta dai professionisti dell’antimafia, spesso in perfetta malafede, tende ad associare la 'ndrangheta calabrese alla mafia siciliana. Si tratta di un palese falso storico che tende a coprire le responsabilità delle classi dirigenti e, contemporaneamente, a nascondere i motivi veri dell’insuccesso di una lotta trentennale alla 'ndrangheta più apparente che reale.
Per esercitare il dominio sulla società calabrese sino alla seconda metà del secolo scorso, i dominatori non avevano alcun bisogno della 'ndrangheta, disponendo già delle caserme dei carabinieri, dei commissariati di polizia, dei tribunali, delle preture.
La 'ndrangheta per oltre la metà del Novecento è stata una presenza decisamente minoritaria e marginale nella società calabrese. Un fenomeno sociale legato, quasi ovunque, alle classi subalterne.
L’aggregazione iniziale della 'ndrangheta nasce come uno strumento primitivo delle classi subalterne finalizzato alla reciproca difesa. Un’organizzazione tesa, tra l’altro, a difendere “l’onore” delle donne costantemente insidiato degli antichi padroni.
Come facilmente prevedibile dall’autodifesa si passò ai furti , soprattutto di bestiame, alle estorsione, all’uso sistematico della violenza.
A quei tempi il Partito comunista aveva raffinati strumenti di analisi che consentivano di comprendere i fenomeni sociali. In questa ottica, la ndrangheta venne decifrata una risposta sicuramente sbagliata, alla violenza secolare delle classi dominanti.
Una risposta al sacrificio di migliaia di ragazzi uccisi in guerra senza un perché. Una violenza assurda che aveva seminato ovunque sentimenti di barbarie e di violenza.
La “Sinistra” aveva tutti gli strumenti culturali e politici per comprendere che la violenza massiccia e di classe contro i deboli era esercitata solo marginalmente della ‘ndrangheta e massicciamente invece nei tribunali, nelle preture, nei commissariati, sui luoghi di lavoro, nei municipi, nella stessa Chiesa cattolica.
Secondo tale analisi, la ndrangheta si sarebbe naturalmente estinta nel momento in cui sarebbero cambiati i rapporti di forza nella società.
Una società più giusta e più uguale sarebbe stato il naturale antidoto alla criminalità organizzata.
Sono passati tanti anni dagli avvenimenti che abbiamo narrato e abbiamo a che fare con un’altra ndrangheta e un’altra “Sinistra”.
Entrambe parte integrante del blocco di potere e contro il popolo, soprattutto contro i calabresi.
In sintesi ci troviamo dinanzi ad un duplice “tradimento”.
La ‘ndrangheta, come vedremo , diventerà strumento di governo nelle mani delle classi dominanti.
Gli ‘ndranghetisti d’alto bordo faranno propri gli atteggiamenti delle classi dirigenti come la rapacità, lo sfruttamento sugli altri uomini, la prepotenza, l’ipocrisia, lo scarso valore dato alla vita umana. Rimuoveranno l’onore ed esalteranno il valore della ricchezza e del potere. Diventeranno “padroni” tra i padroni.
La ‘ndrangheta di oggi arruola la manovalanza a San Luca ma ha lo stesso disprezzo della vita umana e della giustizia che si avverte a “Piazza affari” o a Wall Strett”. È figlia di quel mondo più che espressione dei paesi della Calabria.
Nello stesso tempo gran parte della “Sinistra”, ha progressivamente abbandonato al proprio destino i ceti subalterni, gli emarginati del Sud e della Calabria. Tende ad assimilarsi sempre di più alle antiche classi dominanti. Venderà tonnellate di parole sulla lotta alla ‘ndrangheta ma rimuoverà dalla propria strategia ogni progetto di cambiamento della società, marcando la propria siderale distanza delle classi lavoratrici. Infine, individuerà nella ndrangheta un comodo “nemico”, per nascondere i propri cedimenti, le proprie rinunce, la lontananza abissale tra eletti e popolo.
Un comodo gioco delle parti: le ingiustizie, l’ignoranza, l’abbandono, producono la manovalanza arruolata a poco prezzo dagli impresari del crimine.
La ‘ndrangheta legittima le classi dirigenti.
In mezzo un popolo rassegnato, e oggi, senza più speranza.

Autore: 
Ilario Ammendolia
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