Riviera Web - Contromano
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itOperazione “Banco Nuovo-Cumps”, serve un nuovo riesame
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<div class="field-item even"><a href="http://larivieraonline.com/sites/default/files/styles/large/public/notizie/tribunale2014-318x240.jpg?itok=xlfIqtym" title="Operazione “Banco Nuovo-Cumps”, serve un nuovo riesame" class="colorbox" data-colorbox-gallery="gallery-node-49650-B-vAGok468s" data-cbox-img-attrs="{"title": "", "alt": ""}"><img src="http://larivieraonline.com/sites/default/files/styles/front_content_news/public/notizie/tribunale2014-318x240.jpg?itok=TeCDhin_" width="250" height="180" alt="" title="" /></a></div>
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<div class="field-item even"><p class="rtejustify">I giudici della Sesta sezione penale della Corte di Cassazione di Reggio hanno annullato con rinvio per un nuovo riesame l’ordinanza nei confronti del 35enne Fabio Bonanno, indagato nell’ambito dell’operazione “Cumps-Banco Nuovo”.<br />
Il ricorso è stato è stato proposto dagli avvocati Antonio Speziale e Pietro Modafferi, che hanno contestato l’ipotesi secondo cui l’indagato era in concorso con altri soggetti: “per avere detenuto e portato illegalmente in luogo pubblico una pistola di caratteristiche e calibro non potutesi accertare”, con l’aggravante “di aver commesso il fatto al fine di rafforzare l’organizzazione di tipo mafioso sedente nel territorio di Brancaleone”. I difensori, inoltre, hanno evidenziato una serie di motivazioni alla base del ricorso tra cui quello secondo il quale il Tribunale del riesame non aveva indicato un solo elemento concreto dal quale desumere, a distanza di sei anni dai fatti contestati, i requisiti dell’esigenze cautelari.<br />
La Corte di Cassazione ha rinviato il giudizio ai giudici del territorio, che dovranno adesso riunirsi prima di pronunciare la sentenza definitiva.</p>
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Tue, 24 Apr 2018 14:00:00 +0000jacopo.giuca49650 at http://larivieraonline.comVittime e carnefici
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<div class="field-item even"><p>La vicenda accaduta un paio di settimane fa alla scuola media di Barra, nel napoletano, ci ha scossi tutti. Volutamente non ne ho parlato subito, come forse sarebbe apparso più ovvio, ma ho scelto di tacere nell’immediato e ritornare sull’argomento a distanza di qualche giorno. Oggi per esempio. Perché? Perché oggi l’abbiamo dimenticato. Metabolizzato, come si suol dire, rubando un termine scientifico alla medicina e alla dietetica. E mentre ricorriamo a questa espressione, abbastanza suggestiva, non facciamo caso, neanche per un attimo, che la metabolizzazione di un qualsiasi cibo porta alla sua stessa assunzione nel nostro corpo. Alla sua trasformazione, per percorsi abbastanza conosciuti e tutta una serie di complesse reazioni chimiche, in sostanze di cui ci nutriamo. E non ci accorgiamo che se tale termine lo riferiamo all’accaduto cui accennavo sopra, la dimenticanza, cioè la metabolizzazione, è ancora più colpevolmente grave dello stesso fatto. (E il fatto, lo ricordate?, è veramente angoscioso!). Mi riferisco, come sicuramente avrete intuito, a quell’episodio raccapricciante nel corso del quale un’insegnante, intervenuta per sedare una rissa tra compagni di scuola, è stata colpita violentemente da un calcione di uno dei due ragazzini contendenti, e ci ha rimesso la milza, dopo essere rimasta ricoverata in ospedale per alcuni giorni in gravi condizioni. Nell’immediato avremmo pure potuto essere sedotti da istintive reazioni, quelle, per intenderci, che, di solito, salgono al nostro cervello, e arrivano da molto lontano, senza che ce ne accorgiamo. Giungono alla nostra bocca, fanno muovere le labbra e producono parole e considerazioni che non abbiamo valutato abbastanza, prima di dar loro libero sfogo. Quelle, diremmo, a caldo, istintive. Avremmo potuto, ad esempio, liquidare il fattaccio dando la patente di vittima all’insegnante e di carnefice all’alunno, sia pure per quest’ultimo, con le attenuanti della giovanissima età. E non avremmo avuto molti torti. Probabilmente in sede di giudizio penale, se giudizio ci sarà, i giudici, che sovente non possono tanto badare per il sottile, dovendo applicare la legge che assai spesso è una sorta di teorema matematico, emetteranno un giudizio ineccepibile: da una parte il colpevole, dall’altra la vittima. Da una parte chi ha commesso il reato e deve pagare e dall’altra chi ha subito il danno e deve essere risarcito. Non esiste giustizia più giusta! Ma il fatto di Barra è ben altra cosa che non un bambino che scalcia violentemente e una insegnante che ne subisce le conseguenze, più o meno volontarie. Ci parla in modo esplicito di un immenso disagio che esiste nella scuola italiana ormai da troppo tempo dove vittime sono, insieme, a pari merito diremmo, se stessimo commentando un fatto sportivo, alunni, insegnanti, dirigenti. Dove vittima è la Scuola come istituzione e in tutte le sue componenti, mai così negletta e abbandonata, mai così fatiscente nelle sue strutture, mai così trascurata nelle sue più impellenti e legittime necessità. Ho letto per caso nei giorni scorsi, testualmente, che “… meno tempo a scuola ci porta nell’Europa più evoluta…”. E ancora: “… meno tempo trascorso a scuola dà ai ragazzi la possibilità di studiare di più a casa…”. Quando è ben noto a tutti che nelle scuole europee più evolute il tempo pieno esiste da data immemorabile e i nostri studenti di ogni ordine e grado sono tra i meno preparati in Europa, mentre si moltiplicano quotidianamente atti di bullismo e gravi indiscipline. <a href="mailto:[email protected]">[email protected]</a></p>
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Sun, 16 May 2010 22:00:00 +0000admin4154 at http://larivieraonline.comNon dimenticare! E poi?
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<div class="field-item even"><p>Se l’argomento non fosse di quelli veramente tosti, coinvolgenti, pregnanti di emozioni forti e di insegnamenti universali, di riflessioni profonde e di interrogativi molto spesso senza risposta alcuna, quasi non se ne potrebbe più. Il Giorno della memoria, che si è celebrato mercoledì scorso con tutta una serie di eventi che si sono sciorinati ovunque con iniziative di vario genere, ancora una volta ha avuto il pregio di riportare alla nostra attenzione quello che spesso è definito, a giusta ragione, la più grande scelleratezza della storia, la più immensa barbarie che un popolo possa compiere ai danni di un altro popolo. Ci ha assediato, giustamente, da ogni parte. Sui quotidiani e sui settimanali, con inserti speciali e foto crudamente reali, in televisione, con tutti i canali, Sky compreso, a farsi concorrenza su chi metteva in onda il servizio o il filmato migliore, sul web e sui social network, anche qui in una gara al limite del narcisismo su chi riusciva, prima degli altri, a scoprire e condividere il pezzo, o la foto, più originale. Un susseguirsi di testimonianze da parte di qualche sopravvissuto, un accavallarsi di cerimonie di commemorazione e di titolazioni di strade, uno scoprire e rivelare continuo di episodi inediti, una ridda di dichiarazioni ufficiali, da parte di tutti i rappresentanti delle istituzioni, a destra e a sinistra. Tutti quelli che hanno vissuto coscientemente quel periodo ricordano. Nessuno ha dimenticato. Neanche chi era bambino a quei tempi o è nato dopo ed ha appreso quelle scelleratezze dalle giornate della memoria, che via via si sono succedute, come quella dello scorso mercoledì. Tutti sappiamo cosa è avvenuto degli Ebrei, in massima parte, ma anche degli omosessuali, degli zingari e dei testimoni di Geova ad opera dei nazisti. Ed è bene che nessuno dimentichi. Ma ricordare e non dimenticare, perché? Perché certe nefandezze non avvengano mai più – è la risposta unanime che si leva da ogni parte, in ogni convegno, in tante esortazioni, discorsi, dichiarazioni. Perché si impari la lezione che ci viene dal passato e ciò che di tanto atroce è successo non avvenga mai più. Perché sia rispettato l’essere umano, in quanto tale. Ovunque si trovi, chiunque esso sia, a qualsiasi religione appartenga, qualsiasi siano le sue tendenze sessuali e il colore della sua pelle. Non abbiamo sentito e letto tutto ciò in questi giorni, a conclusione di manifestazioni, articoli, filmati, dichiarazioni a proposito della giornata della memoria? E pure, nello stesso giorno in cui i quotidiani hanno riferito delle diverse celebrazioni di questa giornata, nelle stesse pagine, leggo: Bambina di nazionalità rumena ha tentato il suicidio gettandosi dalla finestra del primo piano della sua abitazione in provincia di Padova. I suoi compagni di scuola l’avevano esasperata fin dal primo giorno di lezione. La insultavano e le ripetevano di continuo: Tu puzzi da romena. E ancora. A Roma, in via Tasso, qualcuno ha imbrattato di vernice nera il Museo della Liberazione, ha scritto delle frasi ingiuriose nei confronti degli Ebrei, ha insultato il sindaco Alemanno, reo di voler intitolare una strada della capitale a Settimio Calò. Costui il 16 ottobre del 1943, nel corso del rastrellamento degli Ebrei al Portico d’Ottavia, a Roma, perse la moglie e i suoi dieci figli. Lui, per caso, in quel momento, si trovava fuori casa, era andato a comprare le sigarette. E mi viene spontaneo chiedermi. Ma ai nostri figli cosa insegniamo ogni giorno, oltre la giornata della memoria?</p>
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<div class="field-item even">Filippo Todaro</div>
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Sat, 30 Jan 2010 23:00:00 +0000admin3945 at http://larivieraonline.comSe c’è batta un colpo
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<div class="field-item even"><p>Sarà la volta buona? …Boh!? Non lo so. L’esperienza mi dice di no. Mi suggerisce di pensare che, dopo i proclami, le dichiarazioni e le passerelle, trascorso anche l’imminente periodo elettorale, non cambierà nulla. Come tante volte già avvenuto. Come sempre, da che io ricordi. La speranza, invece, cui non bisogna mai chiudere la porta in faccia, mi fa intravedere questa volta un qualche segnale diverso rispetto al passato, e più significativo, e mi fa sognare. E’ bene comunque non illudersi troppo. Meglio aspettare risultati reali ed evidenti. Nel frattempo, dopo i recenti fatti di Rosarno e la ribalta che gli stessi hanno avuto in tutta la stampa nazionale ed europea (l’ultimo intervento, in ordine di tempo, è un articolo di Antonio Nicaso su il Pais) pare che si sia risvegliata una certa attenzione nei confronti dei più gravi problemi della nostra regione, come ormai non si verificava da anni. Persino il presidente della Repubblica è tornato in Calabria per affermare il suo impegno personale, manifestare la sua solidarietà e, cosa più importante, ricordare a tutti che siamo parte dell’Italia. Soprattutto mi pare di intravedere un certo mutato atteggiamento nei nostri confronti come se improvvisamente, da Roma in su, si rendessero conto che il problema Calabria è problema nazionale e che la sua migliore soluzione è un dovere nazionale, capace di generare grandi fonti di benessere economico e sociale per tutta la nazione. Per quanto paradossale possa sembrare è come se d’un tratto ci si sia accorti che è nell’interesse di tutti affrontare e debellare le tante contraddizioni di un territorio (la nostra regione e tutto il Sud) che soffre per colpe in gran parte sue e dei suoi uomini, ma che può tranquillamente rivendicare le grandissime responsabilità di una classe politica nazionale, quanto meno miope ed egoista, e dei tanti governi che si sono succeduti, che hanno sempre fatto finta di niente e rivolto lo sguardo altrove. Magari anche con sufficienza e arricciando il naso. Come se si dovesse necessariamente, non potendone fare a meno, convivere a tutti i costi col parente brutto, sporco e cattivo. S’è desta finalmente l’Italia ora che la minaccia è seria e mette a repentaglio l’esistenza tranquilla dei suoi cittadini, ovunque si trovino? Ancora paradossalmente, potremmo addirittura essere contenti per il potenziamento, l’evoluzione e l’allargamento della criminalità organizzata: finalmente ci si è accorti di essa; finalmente, ce lo auguriamo di cuore, saranno adottate misure efficaci in grado di fronteggiarla adeguatamente e magari sconfiggerla definitivamente Un titolo campeggiava nei giorni scorsi sui quotidiani calabresi (quasi simile in tutti), dopo l’arresto, a Reggio Calabria, di un uomo che pare sia implicato nella faccenda dell’auto con le armi e l’esplosivo ritrovata lungo il percorso del Presidente della Repubblica: Lo Stato C’è. Non trovando di meglio che una circostanza fortunata, sia pure scaturita da intelligenti e immediate indagini, per strombazzare ai quattro venti la presenza efficace dell’autorità nazionale, quasi una voglia impellente di dimostrare con le parole ciò che nei fatti è ampiamente deficitaria. Una sorta di excusatio non petita. Ecco vorremmo che la presenza dello Stato ci fosse davvero. Sempre e nei fatti. Non a parole. E non solo per invadere il territorio di baschi più o meno colorati e arrestare i delinquenti e i componenti delle associazioni criminali, azioni senz’altro assai utili e benemerite, ma anche e soprattutto, per elaborare e mettere in atto progetti di sviluppo e di occupazione per una popolazione che chiede a gran voce lavoro e benessere economico e sociale. Insomma, se c’è, batta un colpo efficace. Magari due.</p>
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<div class="field-item even">Filippo Todaro</div>
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Sat, 23 Jan 2010 23:00:00 +0000admin3906 at http://larivieraonline.comUomini e braccia
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<div class="field-item even"><p>No, Rosarno non è peggio di altre realtà. Non è neanche la peggiore realtà. E’ forse l’emblema, per ora il più evidente dopo i fatti dei giorni scorsi, della polveriera che abbiamo in casa, in tutte le regioni, da Nord a Sud. E del razzismo che sottile si annida nella nostra società opulenta e per bene, ovunque, nonostante si sia sinceramente convinti del contrario. Tale sentimento è così subdolo e impalpabile, o così radicato nel mostro modo di essere e di pensare, al punto da farne parte, che, per l’appunto, crediamo non ci sia, o comunque non ci riguardi. Salvo venire fuori improvvisamente nei momenti e nelle circostanze più impensate. Razzisti noi? Per carità! Voglio saltare a piè pari gli insulti razzisti degli stadi di calcio che hanno indotto Balotelli, punta dell’Inter, con la freschezza e la sincerità dei suoi acerbi 18 anni, ad affermare molto crudamente che il pubblico calcistico di Verona è quello che, in assoluto, più gli fa schifo. O quelli contro Dida, a Torino, per restare agli episodi più recenti. Li relego a stupidità da stadio che rientra nella follia da tifoso, come prassi e ineluttabile necessità in un contesto dove pare debba essere permesso di tutto. Soprattutto l’offesa e il becero insulto all’avversario e all’arbitro. Ma non per questo meno gravi. Voglio invece riportare quello che ha scritto Gian Antonio Stella sulle pagine del Corriere della Sera, nei giorni scorsi, ricordando ciò che una trentina di anni fa lo scrittore svizzero Max Frisch affermò a proposito degli emigranti italiani nella sua terra. “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”. E qui, credo, sta il punto, il nocciolo della questione del razzismo oggi. Soprattutto in un momento in cui, specie qui in Calabria, si dimentica la nostra stessa esperienza di emigranti, neanche tanto lontana nel tempo, e si preferisce recitare il ruolo di datori di lavoro e benessere, e talvolta di misericordiosi buoni samaritani, dimenticando, ahimè, che chi impiega le braccia per eseguire lavori che noi mai faremmo, è soprattutto un uomo. Come noi. E più volte ce l’hanno ricordato in questi giorni le nostre braccia, dai tanti microfoni che sono stati loro messi sotto il naso, rivendicando il santo diritto ad essere uomini e come tali essere visti e trattati. A Rosarno hanno fatto bene a protestare contro chi vorrebbe tacciare quella città di razzismo. E con essa tutta la Calabria. Hanno fatto bene a ricordare il proverbiale e atavico nostro senso dell’ospitalità, a scendere in strada, in corteo, mano nella mano, anche con coloro, tra gli emigrati, che sono rimasti e che hanno la pelle più abbronzata, come direbbe il nostro Presidente del Consiglio. Ma quelle rivendicazioni in italiano approssimativo, ma in italiano, ad essere trattati da uomini e non da animali, ci devono fare riflettere. A Rosarno uno striscione su tutti, “Vent’anni di convivenza”, elaborato ed esposto per dire ulteriormente del senso dell’accoglienza della cittadina pianigiana e di tutta la Calabria può darci il segno di quanto ci resti ancora da fare sulla strada della accettazione degli esseri umani che vengono da lontano alla ricerca del lavoro e del benessere economico, non disgiunti dalla dignità e dal decoro. “Convivenza” è parola grossa e impegnativa. E se la esaminiamo per bene senza lasciarci influenzare da apparenze emotive e magari riflettiamo sul fatto che sia formata da due parole, una preposizione e un sostantivo dal significato pregnante, magari ci rendiamo conto che molto spesso è usata a sproposito. Nonostante i tanti gesti di solidarietà che si compiono ovunque, a Rosarno e in tutta la nostra regione, e le tante iniziative benefiche che fanno onore alla nostra comunità. Ma non si confondano la carità, l’elemosina e la convivenza.</p>
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<div class="field-item even">Filippo Todaro</div>
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Fri, 15 Jan 2010 23:00:00 +0000admin3858 at http://larivieraonline.com