Siamo tutti una frana

Dom, 29/01/2017 - 11:40
C'è un sisma sottotraccia in corso da anni ed è quello delle coscienze. La faglia dell'onestà e quella della realtà si sono dette addio dopo tanti scossoni.

Il primo ad aver pronunciato insieme le parole "la-vita-va-avanti" deve essere stato senz'altro un ciarlatano medaglia d'oro per mirabilia truffaldine. Non mi consola più questa frase. La certezza che, in un modo o nell'altro, la vita continui sta diventando la nostra debolezza. Un'attenuante. Fissare il fumo del caffè al mattino, ipnotizzante ma mai quanto la tv "corretta" ai barbiturici, riaccoccolarsi nella propria postazione di lavoro che sia una scrivania, un bancone o un cantiere, aspettando l'ora di uscita per poter vivere la-vita-che-va-avanti ci ha resi più inquietanti e contro natura di quella cicogna imbalsamata che mi aspettava all'ingresso quando da piccola mia madre mi mandava dalla vicina a comprare le uova.
È stata una settimana terribile quella appena terminata. Il meglio che ci abbia riservato sono state le frane. Da Rigopiano alla Locride, l'Italia è franata nell'ordinarietà.
Nel paese delle leggi "tana libera tutti" e dei favori spacciati per diritti, si finisce per rimanere nella melma con, a mo' di telo sui morti, i prosciutti che abbiamo sugli occhi. Se la Calabria e l'Italia franano è perchè a scivolare prima sono stati il buon senso e il fare bene.
Non puoi, tu cittadino, sperare che il tuo nido d'amore regga se vai a costruirlo - e te lo lasciano fare - lì dove prima scorreva un fiume, oggi diventato torrente. Gli acquazzoni lo ricaricheranno e lui vorrà ridiventare fiume. Si chiama logica, si chiama natura.
Non puoi, tu politico, pulirti la coscienza lanciando per tempo l'allerta meteo se, quando è il momento di farlo, non ripulisci i fossi intasati, i torrenti ingolfati, non sorvegli gli argini, permetti che cavatori senza scrupoli saccheggino i fiumi. Questa non curanza consegna i tuoi cittadini al fango. Si chiama logica, si chiama natura.
Non puoi, sempre tu politico, chiederti puntualmente dopo ogni catastrofe, "forse puntare alla prevenzione ci sarebbe costato meno del riparare i danni" se poi, passata in fretta la paura e i sensi di colpa, torni a non programmare per evitare le tragedie. Si chiama controsenso, si chiama buffoneria.
L’Italia ha impiegato 99 anni per dotarsi della carta geologica in scala 1 a 100 mila, dal 1877 al 1976: cominciò con Agostino Depretis e la completò con Aldo Moro. La nuova carta, in scala 1 a 50 mila, è stata iniziata nel 1988 e, oggi, siamo a 255 fogli completati su 652, poco più di un terzo. Per la Calabria, invece, siamo a 13 fogli su 39 completati, un terzo tondo tondo. E in Italia, benchè non ce ne rendiamo conto, il 70% del territorio è in rilievo; la Calabria, terra di mare, per il 90% è formata da colline e montagne. Marco Paolini nel suo monologo "Il racconto del Vajont" sostiene che l'Italia sia un paese di montagna convinto di essere di pianura, ed è proprio questa falsa convinzione che più ci disorienta e inganna. E meno ci fa prevenire.
Dal Dopoguerra a oggi lo Stato ha stanziato 250 miliardi per ricostruire le zone colpite dal sisma e risolvere i danni provocati dall'aver chiuso gli occhi davanti al rischio idrogeologico. Per mettere in sicurezza tutto il nostro Paese occorrerebbero tra i 20 e i 25 miliardi di euro, stando a quanto dichiarato, all'indomani del terremoto in Aquila, dall'allora sottosegretario alla Protezione civile, Guido Bertolaso.
Basterebbe un decimo di quanto è servito per ricostruire.
Ma fare prevenzione non porta voti, non è una carta da giocare, meglio puntare a ciò che riempie le tasche nel breve periodo. Funziona così e lo rendono accettabile.
C'è un sisma sottotraccia in corso da anni ed è quello delle coscienze. La faglia dell'onestà e quella della realtà si sono dette addio dopo tanti scossoni.
Fateci caso: la parola più inflazionata nei discorsi dei politici, di tutte le nuances, è "territorio" (sebbene "sinergia" stia tentando con tutte le sue forze la rimonta). La si pronuncia in media dieci volte in un intervento di tre minuti. Ci si dimentica, però, che quel termine, pronunciato astrattamente, comprenda in concreto anche il terreno su cui poggiamo i piedi e grazie al quale, benchè lo ignoriamo, la nostra vita-va-avanti. Abbiamo affidato questa nostra vita che va avanti alla tecnologia ma non alla terra che abbiamo sotto i piedi. Ma non ci sarà vita virtuale che non necessiti di una base fisica per funzionare. Non dimentichiamoci che sebbene la tecnologia abbia fatto passi da gigante, i soccorritori di Rigopiano sono arrivati con gli sci e Francesca, la ragazza travolta dalla neve mentre beveva un tè con il fidanzato che ha visto morire, non è riuscita a chiamare nessuno con il suo smartphone di ultima generazione perchè non c'era campo. Teniamoci cara la terra che abbiamo sotto i piedi se davvero vogliamo che la nostra vita vada avanti. 

Autore: 
Maria Giovanna Cogliandro
Rubrica: 
Tags: 

Notizie correlate