In Calabria il crimine di uno diventa di tutti

Dom, 23/04/2017 - 09:54
È ancora vivo il ricordo della criminalizzazione di un'intera cittadinanza in seguito alla notizia della violenza subita dalla ragazzina di Melito. La Calabria, chissà perché, non poteva non sapere: era indubbiamente complice della furia del branco. Oggi la violenza colpisce Alatri e Vigevano ma lì il crimine è solo roba di schegge impazzite.

Il futuro della Calabria passa anche dal superamento dei pregiudizi. Non sappiamo quanto tempo dovrà ancora trascorrere, ma è un passaggio necessario non solo per una questione di giustizia, ma anche per le prospettive di sviluppo economico. Occorre fare ancora molto strada anche se non siamo all'anno zero. Basta un confronto tra fatti di cronaca avvenuti di recente per rendersi conto che ancora c'è molto da fare. Ricordiamo i fatti di Melito Porto Salvo: la ragazzina violentata da tempo dal "branco". È ancora vivo il ricordo della criminalizzazione di un'intera cittadinanza che, chissà perché, non poteva non sapere e, pertanto era complice di una violenza, secondo una mentalità omertosa e criminale che, si sa, caratterizza la gente in Calabria. Per giorni Melito è stata oggetto di attenzione dei media nazionali: il mea culpa è stata la risposta delle realtà associative e istituzionali. Il sindaco della città ha detto che "abbiamo sbagliato tutti, che tutti siamo stati assenti: famiglia, scuola, chiesa, comune...". Oltre alle parole di ammissione di colpa (obbligatoria) vi sono state due manifestazioni: una a Melito, non molto partecipata e pertanto non abbastanza catartica, e l'altra a Reggio, meglio organizzata con impiego di studenti protestanti e trasportati a spese della Regione. Spenti i riflettori, esaurita l'emozione generata dalle comunicazioni istituzionali, attendiamo che inizi il processo nella speranza che si faccia chiarezza poiché, non dimentichiamolo, per ora nulla è stato definito da sentenza anche se le reazioni mediatiche hanno dato per scontato le tesi accusatorie, con buona pace della giustizia. Ma se consideriamo il giovane ammazzato ad Alatri e il caso di bullismo verificatosi a Vigevano, ma l'elenco potrebbe continuare all'infinito, è possibile valutare la diversa narrazione che i media hanno fatto delle terribili vicende. A Vigevano "ragazzi normali" si sono trasformati in veri aguzzini di un loro coetaneo, leggiamo da un giornale locale: "La gravità delle violenze e della persecuzione nei confronti del 15enne, hanno raggiunto il loro apice nei mesi di dicembre 2016 e gennaio 2017, quando i bulli, in una circostanza, secondo le accuse, dopo averlo braccato per strada, lo hanno costretto a ubriacarsi per poi trascinarlo in giro per la città legato con una catena come fosse un cane al guinzaglio. In un'altra occasione il branco lo ha denudato e tenuto appeso per le gambe da un ponte. Qui veniva costretto a subire atti sessuali. Anche in questa occasione la vittima è stata fotografata e le immagini poi diffuse". E che dire di Alatri? Il locale "controllato" da albanesi (da mafiosi albanesi?), una rissa, l'intervento di due fratelli, "già noti alle forze dell'ordine", uno dei quali arrestato per droga e subito rimesso in libertà a termini di "Legge", che intercettano il ragazzo espulso dal locale e lo uccidono a bastonate. Per le modalità e per il contesto in entrambi i casi si poteva montare la questione dell'omertà, delle connivenze, della presenza di subculture criminali.
Ma così non è stato fatto: il bullismo dei giovani di Vigevano, che pure era stato prolungato e pubblico e nulla aveva da invidiare al caso di Melito, non ha dato adito ad accuse di omertà anche se a sapere delle violenze erano in molti. Non si è parlato di connivenze diffuse e di responsabilità di scuola, chiesa, comune... non ci sono state manifestazioni o riflessioni sulla possibile subcultura che imperversa da quelle parti e che genera giovani capaci di questi delitti. I riflettori su Vigevano sono stati spenti subito e il caso archiviato dai media come una sbandata di qualche giovane annoiato nel contesto del benessere nordico. Ad Alatri il sindaco si è affrettato a dire che la sua città non si identifica    con le bande che controllano i locali né con gli assassini del povero giovane: la responsabilità non è stata estesa, trattandosi di schegge impazzite in un contesto sano, anche se, volendo, non mancano elementi per affermare l'esatto contrario! Fuori dalla Calabria si può! Due pesi e due misure! Forse vogliamo che il "metodo Calabria" venga esteso alle altre regioni? No, perché è un modo sbagliato e infamante di fare informazioni. Vogliamo che si metta fine ai  pregiudizi! La Calabria non è diversa dalle altre regioni: vogliamo essere raccontati con lo stesso metodo utilizzato nel resto d'Italia. Non vogliamo nascondere i problemi, ma alimentare pregiudizi è il modo migliore per non fare un solo passo avanti. I media calabresi diano l'esempio!

Autore: 
Giuseppe Giarmoleo
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